Io, Killer Mancato. L'amore sconfigge la Mafia.
Oggi vi voglio raccontare una bella storia, quella che il
giornalista di Repubblica Francesco Viviano ha raccontato in un libro autobiografico
dal titolo “Io, killer mancato” edito da ChiareLettere . Come vedremo nel corso
dell’articolo, la Buona Notizia è che la Mafia non è una “malattia” ereditaria
che si trasmette di Padre in Figlio, e che l’educazione ed il rispetto possono
liberare una vita dalla condanna del giogo mafioso.
Andiamo con ordine e proviamo a ripercorrere quanto lo stesso
autore racconta nel suo libro. Il Padre di Viviano è un giovane nato in una
Borgata di Palermo e cresciuto in un contesto “ad alta criminalità”. Tra i
vicoli della Albergheria sono in molti a campare di espedienti e di piccoli
furti, con tutti i rischi che ne conseguono, ed è in questo clima che in
circostanze non del tutto chiare, muore assassinato nel corso di un tentativo
di rapina il padre del futuro giornalista.
La madre di Viviano si trova così a 22 anni orfana e con un
figlio da crescere. La figura della madre è centrale in questa storia, perché in
un contesto criminale lei non piega mai la testa. La giovane donna si rimbocca
le maniche ed inizia a lavorare come donna delle pulizie, spaccandosi la
schiena dalla mattina alla sera per portare a casa i soldi per crescere il
figlio. E’ sempre lei che rifiuta una sorta di “risarcimento” economico per l’assassinio
del marito.
Nonostante la forza di volontà della madre, Francesco frequenta
il sottomondo criminale delle borgate palermitane, e pian piano passa dalle
bravate all’albergheria a qualche piccolo furtarello al Villaggio Ruffini. Come
lui stesso ci racconta, molti dei suoi amici in futuro saranno “onorati” boss
di Cosa Nostra.
Attorno ai 16 anni Viviano si divide tra la scuola, qualche
lavoretto “pulito” procuratogli dalla madre ed alcune “bravate” giovanili in
compagnia dei giovani “di famiglia”, dove mette in luce le sue capacità e la
sua intelligenza e per questo riceve proposte di “promozione” ad incarichi
maggiori da parte delle famiglie mafiose della zona.
Adolescenza inquieta, povertà, lavoretti legali o meno, ed un
rancore verso il mondo che cresce quando Viviano viene a scoprire i dettagli
della morte del Padre, di fatto ucciso nel corso di una rapina. Qui matura una
tragica scelta, Francesco vuole vendicare il Padre ed uccidere il suo
assassino.
Per fortuna (se volete sapere come, leggete il libro!) si
ferma appena in tempo, e da li in poi pian piano la sua vita prende una strada
positiva. La madre gli procura un impiego come fattorino all’Ansa, ed in breve
passerà Telescrivente, Assistente e Giornalista.
Come ci dice Attilio Bolzoni nella postfazione, se Francesco non
è rimasto sedotto dal fascino seducente della Mafia e dei Soldi Facili, è
grazie all’insegnamento della Madre, una donna tenace ed umile, determinata e
forte, che ha saputo trasmettere al figlio valori come la dignità ed il non
cedere ai compromessi.
Attraverso la sua storia, capiamo come la Mafia non sia un
carattere ereditario che si trasmette di generazione in generazione, e ci
accorgiamo che anche in contesti violenti è possibile contrastare la logica
mafiosa.
In conclusione, va sottolineato che il giornalista, pur
vivendo libero dai condizionamenti mafiosi, allo stesso tempo non rinnega
quelle che sono le sue amicizie o frequentazioni giovanili. Molti dei suoi
scoop derivano proprio da questa capacità di “comprendere” la Mafia dall’interno,
di conoscerne rituali e luoghi di ritrovo.
Sembra di percepire tra le sue pagine quasi una sorta di “perdono”
per i suoi amici che sono stati attratti dalla logica mafiosa. Forse non tutti
hanno avuto una madre coraggiosa come la sua.
Mario Scelzo.
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