Breznev e il Manciola (Prima puntata)
A mon petit
Tommaso,
s lyubov'yu, (con affetto)
Olga
Bella di una bellezza sfolgorante, Olga, che in una foto sbiadita dal
passare del tempo vediamo in tutto il suo splendore abbracciare a Tommaso, il
protagonista del nostro racconto, nel mezzo della Piazza Rossa a Mosca. Lei
alta e bionda, slanciata, fisico da modella, lui, statura media, fisico nella
norma ma non certamente da divo di Hollywood, infreddolito ma sorridente
imbacuccato nel suo cappotto. Una data scritta a penna, 14 maggio 1972. Questo
l’incipit della nostra storia, che da Castelli, borgo abruzzese rinomato per le
ceramiche, ci porta fino a Mosca passando per il Belgio, per Praga, per Tor
Lupara.
Una storia vera o solo il frutto della mia fantasia? Lascio il beneficio
del dubbio ai miei lettori, mi limito a dire che la narrazione è fedele al contesto
storico, quello dell’Italia del dopoguerra prima e del ’68 poi.
Tor Lupara (frazione di Mentana
all’epoca del racconto, di Fonte Nuova a partire dal 2001), davanti al chiosco
che vende caffè e liquori (chiosco che negli anni diventerà il Bar Rossi), il
25 agosto del 1968, incontriamo il nostro Tommaso (per gli amici Tomassino) ed
il suo amico e compare Manciola (soprannome che deriva dal suo essere mancino).
Sia Tommasino che il Manciola sono
originari di Castelli, borgo abruzzese rinomato per la lavorazione della
ceramica, ma da vari anni vivono appunto a Tor Lupara, una sorta di
“avanguardia” abruzzese alle porte della Capitale, di fatto mezzo paese è
popolato da immigrati interni, che hanno lasciato le zone del Gran Sasso,
ricche di bellezza ma povere di lavoro, in cerca di un futuro migliore. Pochi
giorni prima di questo incontro, esattamente il 20 agosto, c’è stata
l’invasione della Cecoslovacchia compiuta dalle truppe dell’Unione Sovietica
che ha messo fine alla “Primavera di Praga”, di fatto un tentativo di portare
una ventata di libertà nell’Impero Sovietico.
L’Italia, utile ricordarlo, nel
dopoguerra entra a far parte della Alleanza Atlantica, sotto la protezione ma
si potrebbe dire anche la “tutela” del potente alleato americano. Anni non
facili, in cui il nostro paese è “Terra di confine” verso il Blocco Sovietico.
Trieste e Lubiana distano pochi kilometri, “l’Armata Rossa” era alle porte di
casa, ed in Italia era presente il Partito Comunista più forte d’Europa,
partito che vantava solidi legami con Mosca.
Tomassino ed il Manciola oltre che cari amici sono “compagni”. Fieramente comunisti, sono due colonne della sezione locale del PCI, e, mi permetto di sottolinearlo per i miei lettori più giovani, in quegli anni “il Partito”, “la sezione”, rappresentavano un qualcosa di solido, di tangibile, l’essere compagni voleva dire far parte di una comunità concreta di persone, ci si sentiva legati ad una storia, ad un ideale, ad un sogno. Parliamo di un partito che in quegli anni rappresentava un 30-35% dell’elettorato italiano, ricco di affollate sezioni, luoghi di dibattito, incontro, riflessione. Avete presente i partiti moderni? Ecco, esattamente il contrario.
Chiosco del Bar Rossi dicevamo. Folla delle grandi occasioni, quindi 8 o 9 avventori attorno ad un paio di birre, un vinello paesano, un Fernet. Notizie confuse che arrivano dalla Cecoslovacchia.
“Mancio’, ma…. te che ne pensi, te pare giusta sta cosa?”
“Tommà, non ce lo so, però se
Breznev ha deciso così c’avrà li suoi motivi…”
“Aò noi semo poveracci come loro,
e quelli so poveracci che stanno a chiede la libertà, nun ce se va coi carri
armati a caccialli via”
“E tu ci hai ragione però… noi
dovemo sentì il dirigente di sezione…”
“Tu ce lo sai, io so comunista da
quanno so’ bambino, ma a me sta storia non me piace pe niente, mo che se vedemo
in sezione coll’altri io sta cosa la voglio dire. Io me so fatto communista pe’
dà le case ai contadini, per chiedere l’aumenti ai padroni, no pe sparà ai
manifestanti”.
“Tommà damme retta…nun ne parlà
troppo in giro, mo noi sti giorni se riunimo, sentimo li capi nostri, i
delegati, certo manco a me me quadra sta cosa, però nun pijamo iniziative”.
“Manciò, io ce lo sai come so
fatto, a me le ingiustizie nun me stanno bene, io so communista ma ragiono con
la testa mia, io mo scendo a Roma e vado a sentì che dicono a Botteghe Oscure,
mo me sentono!”
Una discussione accesa ma tutto sommato normale, eppure tra gli altri avventori si nota un certo disappunto. Non che fosse proibita la libera discussione, ma insomma “Il Partito” non si discute, le indicazioni che arrivano dall’alto vanno rispettate, poi “Mosca”, veramente già a nominarla dovrebbe incutere timore. Poi appunto, ancora non è chiara la posizione ufficiale del PCI, c’è confusione. Tiberio e Settimino, Capo Sezione il primo e suo primo collaboratore il secondo, si riuniscono e decidono che quelle parole di condanna vanno comunque “segnalate” a chi di dovere.
Quella di Tommasino ed il Partito è una storia che parte da lontano, e che merita di essere raccontata.
Continua….
Mario Scelzo
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