Coronata. Il Campus dei Miracoli.
Un
Ospedale abbandonato e decadente che viene restituito alla collettività e
diviene un Campus Universitario per i Migranti capace di accogliere e formare
quasi 200 studenti, offrendo loro una scuola di italiano e dei corsi di
formazione professionale nonché delle borse di avviamento al lavoro, tutto
questo accade a Genova grazie al generoso contributo della Fondazione Bill e
Melinda Gates….
Tutto
quello che avete letto è vero, tranne l’ultima riga.
Quanto sta accadendo a Genova-Coronata è reso possibile dalle capacità, dall’impegno e dalla lungimiranza dell’Ufficio Diocesano Migrantes di Genova (nella persona di Don Giacomo Martino) e dei suoi collaboratori. Proverò a raccontarvi, in questo che di fatto è il primo reportage sul campo del Blog Buone Notizie, quanto già è stato realizzato e quanti progetti ci sono in cantiere sulla collina che sovrasta Cornigliano.
Prima di raccontare nel dettaglio le vicende del Campus di Coronata, mi preme sottolineare che, senza nulla togliere al mio Blog, quanto vi sto per raccontare meriterebbe a mio parere di apparire sulle prime pagine delle principali testate nazionali come un modello possibile (e sostenibile) di accoglienza, integrazione e tutela del territorio.
Quanto sta accadendo a Genova-Coronata è reso possibile dalle capacità, dall’impegno e dalla lungimiranza dell’Ufficio Diocesano Migrantes di Genova (nella persona di Don Giacomo Martino) e dei suoi collaboratori. Proverò a raccontarvi, in questo che di fatto è il primo reportage sul campo del Blog Buone Notizie, quanto già è stato realizzato e quanti progetti ci sono in cantiere sulla collina che sovrasta Cornigliano.
Prima di raccontare nel dettaglio le vicende del Campus di Coronata, mi preme sottolineare che, senza nulla togliere al mio Blog, quanto vi sto per raccontare meriterebbe a mio parere di apparire sulle prime pagine delle principali testate nazionali come un modello possibile (e sostenibile) di accoglienza, integrazione e tutela del territorio.
Andiamo
con ordine. Nei giorni scorsi, in una bella giornata di sole, ho trascorso un
piacevole pomeriggio sulla collina di Coronata insieme a Maurizio Aletti,
Presidente della Cooperativa “Altra Storia" nonché “anima” del “Campus dei
Migranti”. Maurizio, col suo fare spontaneo ma deciso, tra un bicchiere di vino
ed un panino con la cima, mi ha spiegato passo passo la nascita e la
realizzazione del progetto. Maurizio è una di quelle persone che ascolteresti
parlare per ore, vista la sua competenza nel settore ma soprattutto per la sua
umanità condita dal parlare diretto e senza giri di parole tipico dei genovesi.
Ma andiamo con ordine.
L’Ospedale
San Raffaele di Genova era una struttura abbandonata da anni, un enorme
edificio con un bel panorama sulla vallata, lasciato dal Comune alla mercè di
vandali ed occupanti di vario genere. Tutto questo mentre, come sapranno i miei
lettori, scoppia quella che potremmo chiamare “l’emergenza migranti”. In
sintesi, la cooperativa messa su da Maurizio e da Don Giacomo Martino negli
ultimi due anni assume la gestione di circa 260 richiedenti asilo.
Un
rapidissimo ripasso “tecnico”. Il migrante che oggi sbarca in Italia e viene
identificato, ha la possibilità di richiedere lo status di rifugiato. Una
apposita commissione si riunisce periodicamente si riunisce per approvare o
meno lo status di rifugiato, grossomodo circa il 40% delle domande vengono
accolte in prima istanza.
In
attesa del pronunciamento della commissione, si parla di “richiedenti asilo”
per i quali lo Stato sborsa all’incirca 35 euro al giorno. Attenzione, sfatiamo
una leggenda metropolitana, il migrante non riceve affatto 35 euro al giorno, a
seconda delle regioni riceve 2-3 euro, 35 euro è il costo complessivo del
pernottamento, dei pasti e delle cure sanitarie, insomma della gestione
complessiva della “persona migrante.
In
sintesi, le Prefetture appaltano la gestione quotidiana dei richiedenti asilo
alle cooperative, ogni cooperativa riceve dallo Stato 35 euro al giorno per
ogni migrante. Qui subentra l’intelligenza dei nostri amici genovesi, che ragionando
su grandi numeri ma soprattutto con una visione strategica per il futuro, non
si accontentano di “fare il minimo sindacale” e spendere i soldi loro assegnati
per la gestione ordinaria della quotidianità, ma si mettono in testa di
realizzare qualcosa di straordinario, un Campus Universitario, ed il bello è
che ci riescono. Come? Semplicemente facendo economia, e destinando parte dei
fondi a disposizione alle attività del Campus.
Il
Comune mette a disposizione i locali dismessi dell’Ospedale, la Cooperativa
seleziona insegnanti di lingua italiana (grazie alla collaborazione con la
scuola di Lingua della Comunità di Sant’Egidio) nonché operatori sociali ma
anche esperti artigiani. La Scuola di Italiano è obbligatoria, poi lo
“studente” può scegliere se frequentare il corso edile, quello agrario o la
scuola di sartoria. Gli studenti poi, come in un vero Campus alla americana,
possono partecipare ad attività integrative e/o di svago come cineforum, tornei
di calcetto, c’è chi organizza jam session di musica etnica….la giornata (dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 17) passa
in fretta.
Nel
corso del mio pomeriggio ho assistito a prove in sala musica, poi alla
“vestizione” per il lavoro nei campi, alcunu studenti navigavano in rete, nel frattempo altri si cimentavano in opere di
muratura, nei campetti improvvisati futuri Salah, Muriel, Drogba e Gervinho si
sfidavano nel derby della Lanterna o in un anticipo di Coppa d’Africa.
In
pratica, pur se il “diploma” rilasciato dal Campus non è tecnicamente valido,
il giovane richiedente asilo, che poi è Daouda, Mohammed, Jamil, Mustafa, cioè un ragazzo
come i nostri figli o nipoti, impara la lingua e le basi di un mestiere, di
modo che quando dovrà fisiologicamente lasciare i percorsi statali di
accoglienza non arriverà ad affrontare il nuovo mondo senza nulla in mano. Per
alcuni di loro, grazie alla rete di rapporti creata da Don Giacomo, si aprono
anche prospettive di lavoro o almeno di tirocini professionali.
C'è un ulteriore passaggio -il progetto parrocchie- pensato per fornire opportunità ai ragazzi che frequentano il Centro ed il Campus. Ricorderete che più volte Papa Francesco ha invitato Parrocchie e Religiosi ad aprirsi, concretamente, alla accoglienza ai profughi; Partendo da questo, gli ideatori del progetto (Don Giacomo e Maurizio) hanno contattato alcune parrocchie per concordare l'accoglienza di piccoli gruppetti di richiedenti asilo, massimo 4-6 persone per parrocchia, in modo da creare una occazione di accoglienza "di prossimità", ideale per stabilire relazioni vere, concrete, con persone e famiglie della parrocchia e del quartiere. L'idea è di creare attorno al migrante una rete di prossimità che gli renderà meno difficile il futuro, poi diffondendo l'accoglienza sul territorio si evitano "tensioni" come quelle che può generare, estremizzo, l'accogliere mille persone in quartieri periferici già disagiati. Sintetizzando, si tratta di passare dal migrante anonimo, a Mustafà l'elettricista, Daouda che fa i piccoli lavoretti, Jamil che si propone come badante, Mohammed che suona bongo e chitarra con gli altri ragazzi del quartiere.
C'è un ulteriore passaggio -il progetto parrocchie- pensato per fornire opportunità ai ragazzi che frequentano il Centro ed il Campus. Ricorderete che più volte Papa Francesco ha invitato Parrocchie e Religiosi ad aprirsi, concretamente, alla accoglienza ai profughi; Partendo da questo, gli ideatori del progetto (Don Giacomo e Maurizio) hanno contattato alcune parrocchie per concordare l'accoglienza di piccoli gruppetti di richiedenti asilo, massimo 4-6 persone per parrocchia, in modo da creare una occazione di accoglienza "di prossimità", ideale per stabilire relazioni vere, concrete, con persone e famiglie della parrocchia e del quartiere. L'idea è di creare attorno al migrante una rete di prossimità che gli renderà meno difficile il futuro, poi diffondendo l'accoglienza sul territorio si evitano "tensioni" come quelle che può generare, estremizzo, l'accogliere mille persone in quartieri periferici già disagiati. Sintetizzando, si tratta di passare dal migrante anonimo, a Mustafà l'elettricista, Daouda che fa i piccoli lavoretti, Jamil che si propone come badante, Mohammed che suona bongo e chitarra con gli altri ragazzi del quartiere.
Una
struttura abbandonata riprende vita, i richiedenti asilo invece di passare la
giornata senza far nulla apprendono conoscenze e saperi, ma ho lasciato per
ultimo un tema importante, quello della tutela del territorio.
Da
pochi giorni la Cooperativa ha ottenuto la concessione in comodato d’uso da
parte del Comune di Genova di un bel terreno con annesso vigneto, anch’esso
abbandonato da anni. Un vigneto oggi incolto ed impervio ma con un passato
“nobile”, su queste colline si produceva il Val Polcevera Coronata un ottimo
bianco citato perfino da Stendhal nel suo Viaggio in Italia. Giocando con le
parole, mi scuserete se non politically correct, potremmo dire che “Nero fa
Bianco”, mentre parallelamente procede il progetto “Rifùgiati in Fattoria”,
sotto l’attenta guida di Simone Blangetti, operatore della Cooperativa nonché,
lo ringrazio, la persona che mi ha fatto conoscere l’esistenza di questa
splendida iniziativa, alla quale non possiamo che augurare un brillante futuro,
sperando che venga presa a modello da altri operatori del settore.
Ah
dimenticavo! L’accoglienza ai “Neri” crea lavoro ben retribuito per circa 30 “bianchi”, visti i chiari di luna della nostra economia non mi pare poco.
Spero
di tornare presto a Genova per bere un bel Bianco di Coronata insieme ai miei
amici del Campus.
Mario Scelzo
Mario Scelzo
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