Tolo Tolo, un film comico dal retrogusto amaro.

Come moltissimi italiani, nei giorni scorsi sono andato al cinema per guardare Tolo Tolo, l’ultimo film di Checco Zalone. A me il film è piaciuto davvero molto, credo sia riduttivo parlare di un film comico, proverò a dare su queste pagine la mia chiave di lettura.
Due rapide premesse. La prima, chi scrive conosce l’Africa, più volte ho partecipato a missioni di volontariato con la Comunità di Sant’Egidio, penso complessivamente di aver passato in Africa almeno 6 mesi della mia vita, ho l’Africa nel cuore e penso di averne imparato a conoscerne, almeno in parte, pregi e difetti.






La seconda, ricordiamoci che stiamo parlando di un film e di un attore/regista che fa della comicità il suo punto di forza. Questo per sottolineare che magari alcuni passaggi narrativi sono forzati, magari il linguaggio non è “politicamente corretto”, ma quello che conta a mio parere è il messaggio complessivo che la visione del film ci trasmette.
Andiamo al punto. Secondo me Tolo Tolo è un film (gradevole) dal retrogusto amaro, che descrive perfettamente sia il declino culturale del nostro paese, sia le storture ed i drammi legati al fenomeno della immigrazione, sia le responsabilità che gli stessi africani hanno rispetto ai problemi del proprio continente. Analizziamo questi tre punti nel dettaglio.

Italia. E’ un film contro Salvini? Forse. Indubbiamente è un film che, con intelligenza, si prende gioco di certi eccessi del sovranismo imperante, ricordando prima di tutto ad ognuno di noi che quando parliamo di migranti parliamo di persone in carne ed ossa, persone che hanno dei sogni, delle speranze, uomini e donne delle quali ci si innamora, bambini che hanno il diritto di crescere…. Insomma Zalone ci aiuta a capire che quando parliamo di immigrazione non stiamo analizzando flussi e dati, ma siamo di fronte a donne e bambini che sognano un futuro migliore.
L’Italia descritta dal film è un paese triste, gretto, retrogrado, popolato da evasori fiscali e famiglie che ai valori morali preferiscono i “valori” misurabili alla Borsa di Milano. Perla del film è il personaggio di un giovane pugliese senza arte né parte che, in maniera rapida ed inaspettata, compie una rapidissima carriera politica senza dimostrare di possedere alcuna particolare capacità. Non ho alcun problema a dire che quella figura mi ha ricordato quella dell’attuale Ministro degli Esteri del nostro paese.
Altra perla del film, il giornalista francese, un intellettuale radical-chic che però alla fine mostra di essere più interessato allo scoop che al salvataggio delle persone da lui conosciute nel corso delle sue inchieste, una metafora direi anche delle istituzioni europee, a parole solidali coi migranti ma nel concreto spesso assenti.






L’altro merito del film di Zalone è quello di ricordarci che chi sceglie di emigrare e lasciare la propria terra non lo fa per gioco o per divertimento, ma sceglie di compiere “il grande viaggio” a causa di guerre, carestie, devastazioni. Personalmente conosco bene la realtà del Mozambico e le scene di bande di miliziani armate (non si sa bene da chi, forse una sorta di derivazione dell’Isis) che assaltano i villaggi sono purtroppo veritiere ed attuali, lo stesso accade in Nigeria con Boko Haram, e così via. Il film, va detto, non fa sconti neppure all’Africa: corruzione, soldati che approfittano del proprio potere, miliziani libici e le tremende torture nei confronti di uomini e donne, il business dei trafficanti…

Il film, magari meno rispetto ad altri di Zalone, fa ridere, ma usciti dalla sala si è portati a riflettere. Per me, Luca Medici, come sono stati capaci di fare dei giganti del cinema italiano del novecento, penso ad Alberto Sordi e Paolo Villaggio, ha la capacità, con la sua ironia, di descrivere l’Italia del proprio tempo, di descrivere il "Paese Reale" e l'italiano medio con i suoi rari pregi ed i suoi troppi difetti. 

Mario Scelzo

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